Il Mondo Dei Bambini

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Per nostra fortuna c’è una parte del mondo che è composta da quegli esserini bassi, a volte un po’ rompiscatole ma che ti rubano il cuore; hanno la gioia di vivere incorporata e sono provvisti di fantasia da vendere. Naturalmente sto parlando dei bambini. A loro basta un niente per divertirsi: una scatola si trasforma in un castello, una pozzanghera diventa un lago abitato da un drago, il divano di casa si modifica ogni volta, in base alle esigenze del vulcanico protagonista. Considero la fantasia dei bambini una grande fortuna, un valore aggiunto alle qualità che ognuno di loro intrinsecamente possiede. In realtà, ora che ho una certa età, mi accorgo che quel guizzo di genialità che ti dona la fantasia, l’ho in parte perso.

Da piccola, tutti non facevano altro che ripetermi quanto io fossi una bambina ricca di fantasia. Le maestre a scuola, mia madre, che lo diceva davanti a me alle persone che incontravamo. Nella mia infanzia sono stata spesso sola, nei pomeriggi trascorsi a casa. Prima di capire che avrei potuto rimbambirmi ore e ore davanti alla TV, facevo un’infinità di lavoretti o mi inventavo di tutto. Ricordo come fosse ieri quanto giocavo all’ufficio. Non sapevo tanto bene cosa volesse dire, perché nessuno in famiglia lavorava in un ufficio, eppure mi era bastato qualche giro con mia madre in posti dove vedevo persone scartabellare alcuni fogli, tra fotocopiatrici e raccoglitori, circondati da pinzatrici ed evidenziatori che per me, quello, era l’ufficio. Avevo preso un intero locale – non usato in famiglia – come mio ufficio personale, avevo scritto su un foglietto, strappato malamente da un quaderno A5, il testo “questo ufficio è mio, e ci lavoro solo io. (o altri, su mia autorizzazione)”. Rivedendolo qualche anno fa, mi sono messa a ridere di gusto, perché la me di quegli anni ci credeva veramente, in quell’avviso.

Passato il momento da segretaria, ho fatto la mini-stilista. Quante di noi in casa hanno avuto il mitico gioco “Gira la ruota”? Io passavo pomeriggi interi a sfregare quella mina nera sopra a piccoli fogli, cercando di creare ogni volta un look diverso per la mia modella. In seguito coloravo, dando il meglio di me e cercando di creare sfumature o fantasie dei tessuti che mi parevano all’avanguardia, per quanto ne potessi conoscere io di moda. Infine tagliavo le sagome delle mie striminzite indossatrici e le mettevo tutte in una scatolina. All’occorrenza, quando incontravo una possibile cliente nel mio ufficio, le presentavo i vari abiti della collezione, ci accordavamo sul prezzo e la data di consegna. Inutile dire che la vendita la facevo da sola, parlando nella mia mente con una persona immaginaria.

Ho presente, con enorme soddisfazione, quando andai con mia madre dal tappezziere, per scegliere delle tende. Non ricordo per quale motivo ma, questo signore, regalò a mia madre due enormi cataloghi con campioni di stoffe. Nulla, io da quel giorno diventai una vera esperta in tendaggi. Numerai, usando l’allora innovativa Replay rossa, una a una le pagine dei cataloghi, inventandomi dei codici alfanumerici. In parallelo, per la mia vendita, creai delle cartelline, composte da due cartoncini tenuti insieme da nastro biadesivo, attaccato solo su due lati per lasciare aperti gli altri. Mi sentivo veramente una super inventrice per averle create. Quando arrivavano i clienti – il noto signor Rossi, la signora Bianchi e via dicendo – prendevo dei fogli volanti su cui annotavo, dopo aver fatto visionare al compratore e aver discusso con lui delle sue esigenze, il codice che identificava il tessuto scelto, insieme alle misure e alla data di consegna. Ovviamente, inserivo ogni foglietto dentro una cartellina diversa, sia mai che sbagliassi gli ordini!

Mi divertivo davvero un mondo, passavo le ore, ogni giorno, a fare questi giochi, con quattro pezzi di carta e, a rotazione, contesti diversi. Quello che non doveva mai mancare era la fantasia, ma per fortuna abbondava.

In questi anni vedo sbocciare la fantasia di mia figlia. Ora ha 8 anni, gioca spesso ma forse nella sua vita si insinuano troppi cartoni, troppo computer, troppo smartphone, troppo Netflix e Youtube. Non dico che non sia colpa mia, eppure non riesco a eliminarli in maniera più importante. Nei momenti creativi, per fortuna, si diletta inventando giochi tutti suoi. Ha la passione per l’organizzazione di compleanni: sono almeno due anni che, prima della sua festa e di quella del fratello, apre il pc e inizia a scrivere la lista degli invitati, i giochi che si faranno, luogo, data, lista dei cibi e delle bevande. Finito di stilare, viene a spiegarmi tutto quanto.

Pochi giorni fa ha preso il suo vecchio diario, ha istruito suo fratello a essere un… Bravo cucciolo. Ha fatto diventare il suo compagno di giochi un cagnolino, da addestrare, con tanto di premi o sgridate se non fa quello che deve.  Ha scritto sul diario le discipline in cui si era esercitato “Bobi”, gli ha messo dei voti e poi è venuta da me, facendomi firmare. Se non è un cane, è un cavallo, gli mette le redini, il sottosella e via dicendo. Mi crescerà un figlio animaloso.

In estate, ha passato intere giornate a gestire il suo maneggio. In realtà non aveva nulla, se non qualche secchiello per dar da mangiare ai cavalli. Parlava col fratello, urlando da una parte all’altra del giardino, impartendo ordini sul da farsi. Si occupava di tutta la gestione, eppure a me faceva morire dal ridere: vedevo una bambina tirare una lunghina invisibile, per condurre un altrettanto invisibile cavallo, in un – pensate un po’ –box invisibile.

Mi domando cosa le resterà tra i ricordi, una voltra trentenne. Mi piacerebbe che le rimanessero in mente i pomeriggi passati a giocare in maniera semplice, con o senza suo fratello che, a differenza mia, avrà come compagnia per i prossimi anni. Vorrei che la sua fantasia non l’abbandonasse mai. Anche da adulti è una qualità che può regalare una marcia in più, ché nonostante si sia grandi, dà ancora la possibilità di vivere un po’ nel fantastico, unico, mondo dei bambini.

Francesca

Consegnare I Figli Al Mondo

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Amore_dei_genitori

Succede così, nella vita ciclica, che si nasca e si resti figli per diversi anni. Una media di venti o trent’anni, tutti noi la passiamo come prole. Per le mamme, specialmente quelle italiane, noi non saremo mai coperti abbastanza, non andremo mai troppo piano in auto. Per i nostri genitori saremo sempre i loro bambini, da aiutare anche quando le loro forze inizieranno a venir meno. Ad un certo punto succede qualcosa, ti innamori, capisci che è arrivato il momento: decidi di avere un figlio. Ci sono anche coppie che non scelgono, vengono raggiunti ugualmente da questo dono, ma per tutti sta accadendo qualcosa di sconvolgente.

Quando sei figlio, è tutto più facile. Solitamente ci sono almeno due persone che pensano a te in tutto e per tutto, ti porgono gli strumenti per affrontare la vita e nel frattempo ti offrono una spalla su cui piangere. Anche un bastone su cui sorreggerti, se è il caso. Non sei solo, sei il centro del mondo per i tuoi genitori, la loro ragione di vita. Poi, come dicevo, accade qualcosa nella tua vita che la cambierà per sempre, definitivamente: da figlio diventi, anche, genitore. Così ecco che, quando tuo figlio ha già una decade, ti è passata davanti la tua infanzia. Le parole che i tuoi ti dicevano, sono le stesse che hai detto al tuo discendente; quelle frasi che ti parevano incomprensibili, ora acquistano un senso.

Quanti genitori dicono: “se non lo provi, non puoi capirlo”? Oppure: “quando proverai anche tu, mi dirai”.

E non è andata proprio, esattamente, in questo modo? Coraggio, siate sinceri. A me è successo, mi rivedo nei comportamenti dei miei genitori, stando stavolta dall’altra parte. È come una ruota che gira e, in fondo, se guardiamo bene, questa è semplicemente la vita. Un ciclo che, come ci insegnarono a scuola, si compone in quattro fasi: l’essere vivente nasce, cresce, si riproduce, muore. In queste fasi si svolge il gioco, prima sei spettatore, quando cresci diventi attore e fare questa parte non è affatto facile. Diventare mamma, o papà, è tutto fuorché una passeggiata, ti viene consegnato tra le mani un miracolo della natura e tu devi essere capace di proteggerlo, farlo sbocciare nel miglior modo possibile. Tu devi aiutarlo, ma anche insegnargli a fare da solo. Tu devi assisterlo, curarlo, coccolarlo ma… Quando sarà pronto per spiegare le ali, tu DOVRAI essere capace di sciogliere quel filo invisibile che vi lega e permettergli di volare quanto più in alto gli sarà possibile. Dovrai esserci quando, malauguratamente, dovesse cadere; perché una mano in più per rialzarsi non ha mai creato grosse ferite, nemmeno ai più orgogliosi.

Essere genitore vuol dire rivivere la tua infanzia, ma al contrario. Ora sei tu che ti preoccupi se tuo figlio ha la febbre, sei tu che ti arrabbi se non ti risponde subito alle telefonate quando sai che ha sempre il telefonino in mano; ora sei tu che stai sveglio nella notte, ad aspettare il suo rientro. Tu immagini scenari apocalittici, lui si sta divertendo con gli amici e tornerà a casa sorridente, felice per la serata trascorsa, senza lontanamente immaginare il supplizio da te passato. O almeno, fin quando non diventerà lui stesso genitore, allora sì che potrà capire.

Nella mia adolescenza ho fatto spesso preoccupare i miei genitori, eppure per me era una noia mortale sentire il loro continuo ripetermi “torna presto”, “vai adagio”, “stai attenta”. Mi sentivo in gabbia, pareva che non fossi capace di badare a me stessa, avevo 16-18 anni e mi sentivo di poter spaccare il mondo. Non capivo veramente cosa cavolo facesse mia madre, sveglia fino al mio ritorno, alle 3 di notte. Perché accidenti mi telefonasse dicendomi di tornare a casa, mentre ancora 17enne ero a divertirmi a casa di amici.

Anni dopo sono diventata mamma e, di colpo, ho capito. Ho capito tutto quanto. Non sento l’esigenza di chiedere scusa per i pensieri che ho dato loro, perché immagino sia naturale preoccuparsi visceralmente per i propri figli, alcune volte anche senza motivo. Come contrappasso, tra alcuni anni proverò le stesse sensazioni, le stesse paure e dirò gli stessi “torna presto”, “vai adagio” e “stai attenta” che per anni mi hanno fatto sbuffare.

Certo è che ho capito due cose: la prima è che, veramente, se non lo provi non puoi capirlo; la seconda è che bisogna avere le spalle grosse e fare un grande sforzo, per tagliare quel filo e consegnare i propri figli al mondo.

Francesca

Gestione E Fratellanza

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fratello_e_sorella

Durante la bella stagione è tutto più facile, quando sto preparando la cena i miei figli non so nemmeno dove siano, so solo che il giardino è recintato e ogni tanto li sento ridere, urlare o bisticciare, per poi ridere di nuovo cinque secondi dopo. Per questo motivo, quando l’ora della cena si avvicina, io metto i panni della casalinga e sistemo le ultime cose rimaste fuori posto, accingendomi poi a preparare il pasto. Se nessuno là fuori si fa male, io ho tutta la libertà di azione. Per contro, quando è ottobre e alle 19:00 è praticamente buio, lo stesso momento prende una connotazione più caotica. Due nanetti scalmanati corrono qua e là, si infilano in ogni dove per giocare a un nascondino con regole che conoscono solo loro. Viviamo in una casa, non nella Reggia di Versailles, perciò i nascondigli quelli sono. Eppure, le risate forti, di gusto, quando uno cerca l’altra e praticamente sa già dove sia nascosta, lei che urla per spaventarlo e nello stesso tempo cominciano a ridere, senza riuscire a fermarsi. Nel contempo stanno già pensando al turno successivo, così piccoli piedini poco leggiadri si sentono da ogni stanza, mentre battono sul pavimento in corsette isteriche e divertite.

Dopo cena, sempre a dipendenza della stagione, tutto cambia notevolmente. Quando fuori è bello, in seguito ad aver chiesto il permesso per scendere da tavola, i miei figli li vedo sparire di nuovo in giardino. Adoro la luce che, dalle 20:00 in avanti, si crea in estate. Io finisco di sparecchiare, carico la lavastoviglie, eppure a volte mollo tutto ed esco. Gioco con loro o li osservo divertirsi, liberi come solo due bambini possono essere. Ci sono delle serate in cui, invece, prendo una sdraio e fisso il cielo, guardo le nuvole che prendono i toni del rosso, in sottofondo il loro vociare, è tutto perfetto. Nei periodi come questo, purtroppo, si è meno liberi, quindi nulla giardino ma spesso mi chiedono i cartoni. Chi sono io, che ho passato pomeriggi interi sul divano a guardare tutto il palinsesto di Italia 1, per dire di no? Quindi cartoni siano. Loro li guardano in italiano o in inglese, a volte in spagnolo, a loro piace così e io mi diverto a sentirli ripetere alcune parole.

Ieri sera avevo i cocomeri girati. Espressione che ho insegnato anche ai miei figli, quando chiedo di essere lasciata stare perché arrabbiata. Dicevo, quando ho i cocomeri girati soffro di un disturbo: dico no a tutto e parlo in stile dittatore. Scesi da tavola, puntuale come una cambiale, arriva la richiesta di vedere i cartoni. «No!» dico io, «Andate a fare altro». Nella mia testa mi figuro tutti i giochi che hanno, le riviste, gli album da colorare che, se li mettessi in fila, coprirebbero l’equatore. Sono sicura che abbiano pochi giocattoli rispetto a case di amichetti che abbiamo visitato, dove pare sia scoppiata una bomba e si trovano giochini ovunque, da dentro il microonde a sotto le coperte. No, qui cerco di insegnare loro il valore degli oggetti, non gli compro ogni scemata che vedono alla tv, quando faccio regali cerco di puntare su altro. Finora ce l’ho fatta. A loro non basta mai, hanno sempre troppo poco e si stufano! Qualche giorno butterò metà del loro tesoro, forse apprezzeranno di più quello che hanno.

Tornando a ieri sera, dopo avergli negato la televisione, lei se ne va in camera seguita dal fratello. Lei dice: «Io vado a scegliere un libro.» e il genio: «per fare?». Lei altezzosa: «per leggerlo… Lo vuoi anche tu?» e il piccolo acculturato risponde: «No. Posso usare il tuo palloncino?». A parte la disgressione sul fatto che mio figlio sia poco avvezzo alla lettura, ma rimedieremo, mi ha colpito la loro tenerezza mista a semplicità. Quando sono da soli, e pensano che io non li senta, mi fanno stringere il cuore. Si fanno i loro discorsi, ragionano sulle stupidate ma a volte anche su argomenti più seri. Ogni tanto me li immagino già ventenni, mi auguro resteranno uniti, per questo dovrò metterci anche del mio, credo sia un compito dei genitori creare le basi per un legame solido e duraturo tra fratelli. Non è detto che, solo perché si è consanguinei, ci si debba adorare, anzi. Essere fratello e sorella deve essere particolare, forse più che essere due sorelle o due fratelli, ché magari in quel caso gli interessi potrebbero essere molto più simili che tra fratello e sorella. Eppure lo trovo un mondo affascinante e una sfida che ho voglia di affrontare. Non vedo l’ora che crescano ma, nel mentre, so che un giorno li hai partoriti e dieci minuti dopo si stanno già laureando, per questo motivo pazienterò, godendomeli giorno per giorno.

Francesca

A Volte Ritornano

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Everything_happens_for_a_reason

Ci sono dei momenti nella vita in cui ci si ferma, ci si volta e si osservano i passi già percorsi. Questo mio blog è nato quattro anni fa, per una mia voglia di condivisione, per provare l’effetto che faceva essere “una blogger”, anche per provare a trasmettere le emozioni che provavo. Avevo voglia di condividere, di socializzare, volevo scrivere per il piacere di farlo e per scambiare le mie idee, confrontandole con le vostre. Sono sempre stata felice del mio spazio sul web, questo “Momfrancesca” mi ha donato molto, tante conoscenze, esperienza, skills per migliorare la mia scrittura. Mi ha regalato tanti esempi da seguire, di chi ce l’ha fatta.

Io ho sempre sostenuto di non aver mai avuto l’obiettivo di diventare qualcuno, di voler essere quella che, al giorno d’oggi, chiamiamo influencer. Confermo nuovamente il tutto. È solo che mi manca qualcosa, mi manca un pezzo, il cerchio non è chiuso.

Ho lasciato andare alla deriva il mio blog per una serie di motivi, sono variegati e se alcuni sono più frivoli, altri sono più seri. Non è il momento di rivangare nulla, non rinnego il mio passato, non vorrei cambiare le scelte che ho preso. Eppure, stamattina ho sentito quella vocina, avete presente, quella che abita nella nostra testa e parla solo quando vuole lei? No no, non sono impazzita, la vocina la dobbiamo avere tutti, dai. Proprio lei stamane mi ha detto di scrivere. Sì, ma cosa scrivo? Mi capita spesso di leggere qualcosa, ascoltare una conversazione, vedere una scena e nella mia testa si forma immediatamente un breve testo, dove descrivo il fatto aggiungendo le mie considerazioni personali come se le stessi comunicando a qualcuno. Come se stessi scrivendo per qualcuno e non solo per me stessa. Poi, però, non ho mai realmente tramutato quel pensiero il parole scritte su un foglio.

Nei mesi di buio del mio blog, diverse persone mi hanno fatto sentire la loro presenza, in tanti mi hanno chiesto se sarei tornata a scrivere, questo vi confesso che mi ha fatto enormemente piacere. Sentirsi “letti” e apprezzati dà indubbiamente appagamento. Negli ultimi mesi ho cambiato genere, ho sognato un progetto, sognato proprio letteralmente, che ho proposto a chi avrebbe potuto accoglierlo e la risposta è stata positiva. Non faccio nulla di trascendentale, ma ho iniziato a scrivere per un Magazine, ancora in via di sviluppo, del quale curo tutti gli aspetti. Questo impegno mi ha dato modo di scoprire capacità che non credevo di possedere, ho avuto la possibilità di cimentarmi a scrivere su diversi argomenti, intervistare persone di ogni àmbito. È tutto molto semplice e basic, ma ne traggo diverse soddisfazioni. Ho ampliato i miei orizzonti e ho ritrovato la voglia di scrivere, che proprio qui avevo perso. La mia scrittura è cambiata, io sono cambiata.

Non so se tutto questo che ho scritto vuole avere un senso, probabilmente non lo ha, a me va bene così perché sentivo la necessità di battere le dita sui tasti e scrivere proprio qui sopra, anche solo per il gusto di dirvi… A volte ritornano.

Francesca

La Mamma In Solitaria

Dopo sette settimane per lui e sei per lei, di frequentazione scolastica, e conseguentemente di abbandono della MeMedesimaMadre al suo destino in solitaria, posso stilare un primo bilancio. Per me sono stati giorni, anzi settimane, difficili: quando ti nasce un figlio hai la vita stravolta, riempita; quando ti nasce il secondo figlio a breve distanza di tempo, la tua vita è davvero stracolma. C’è da impazzire a volte, non lo nego, ti tirano matta soprattutto se si è la sola che si occupa della loro gestione. Eppure danno un senso a tutto. Con le loro vocine piccoline che chiamano “mamma” migliaia di volte, senza tregua, con i loro pianterelli stanchi oppure con i capricci di molti decibel, con le risate fragorose che scaldano il cuore, o con le lagne per laqualunque, tutto questo faceva parte del mio quotidiano. Ora, che mi è rimasto? Le foto e i video sullo smartphone, che riguardo spesso, e Léon, il mio cocorito che sto cercando di addestrare. Sono sola per gran parte del giorno, certo posso uscire e frequentare persone, l’ho fatto, non sono mica un’eremita; ma loro… La loro mancanza la sento anche se sono al bar a prendere il cappuccino con un’amica!

Avrei potuto dedicarmi al mio passatempo, il blog, ma come avete visto, non è andata così. Avrei potuto fare un sacco di altre cose, a dire il vero, e non ho fatto nulla di tutto ciò. Ho avuto bisogno di tempo, per metabolizzare la questione “mamma senza i figli” e per cercare di organizzarmi, di capire come passare le mie giornate, una volta rientrata a casa, stando senza di loro. In qualche modo mi sono abituata, diciamo che è stata una di quelle azioni che prima ti convinci a fare, e meglio è. In compenso ho camminato tanto, macinando diversi chilometri, mentre mi godevo il sole mattutino. Ora sono arrivata al punto della rassegnazione: i bimbi hanno bisogno di stare in luoghi che per loro sono come una palestra di socializzazione, una fonte di apprendimento, e se devo essere sincera sto apprezzando il tempo libero per fare un po’ il cavolo che mi pare, cosa che mi era difficile fare.

Ora sto pensando a qualcosa di più, mi piacerebbe iniziare a lavorare, ma sono sempre dell’idea che trovare un lavoro quando sei mamma di due bimbi piccoli sia un’impresa ardua. Vorrei provare a fare come tante blogger che conosco che si sono reinventate, facendo dei loro hobby un vero e proprio lavoro. Eppure mi mancano le basi, non saprei da che parte prendere, e quindi me ne sto qui, aspettando. Avrei anche avuto la possibilità di lavorare ma mi sono chiesta “e se i bimbi si ammalassero?”, “e quando ci sono le vacanze scolastiche? Lo sciopero?” io non avrei nessuno a cui lasciare i bambini. Per questo mi piacerebbe fare qualcosa in autonomia, per poter essere libera da questi vincoli, senza pensieri né ansie per i piccoli, potendo comunque svolgere il mio lavoro. Conto, entro i miei trent’anni, di trovare qualche idea. Ho ancora qualche mese per pensarci.

 

Per fortuna fra circa mezz’ora rivedrò Principe, e dopo un’ora prenderò Principessa, per sentirli urlare e litigare fino alle 20:30, per dirgli quanto mi tirano pazza e mettergli i cartoni animati per farli stare tranquilli prima di cena – sono anche stanchi – però almeno avrò di nuovo i miei gioielli con me!

 

A presto, Francesca.

 

Sensazioni Di Cuore

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Buongiorno a tutti, felice Lunedì.

Solo qualche settimana fa sarei stata stravolta, per quell’antipatica di una sveglia, che suona sempre troppo presto. Per fortuna, sono una che si abitua – magari non subito – ai cambiamenti, senza fare troppe storie: devo alzarmi presto? Pazienza, va fatto. Ho passato giorni, quasi due settimane, a rischiare di scordarmi qualsiasi cosa, ho sfiorato un tamponamento, corso il rischio di investire un pedone; insomma stavo un favola. Attualmente mi sveglio anche prima della suoneria sullo smartphone che indica il momento in cui devo alzarmi, questo vantaggio temporale me ne dà uno psicologico: mi sono svegliata prima io, tiè. Per me svegliarmi e avere ancora qualche minuto da passare a letto, è importante dal punto di vista del cervello che ha il tempo di attivarsi. Poi, giù dal letto e dopo la doccia, sono già perfettamente pronta per affrontare la giornata.

Ho smesso di scrivere sul blog, dopo la millesima volta che avevo ripreso. Stavolta avevo intenzioni serissime quando ero ripartita, ero contenta di essere tornata a postare con una certa regolarità. Poi, un giorno, mi scrive la mia amica su Whatsapp, mandandomi la foto del mio profilo Facebook scrivendo “ti ho trovata”. Dopo due anni, tempo dal quale è a conoscenza del fatto che avevo un account ma non le dicevo quale nome utilizzavo, capita che le ho inviato una mia foto per farle vedere cosa può fare l’app Prisma, mi piaceva così tanto quella foto che l’ho messa come profilo sul social blu. Il giorno dopo, il mio profilo è comparso tra i suggeriti dei miei contatti, tra cui la mia amica, che gentilmente me lo ha segnalato. Prima di essere stata scovata, avevo il profilo pubblico, ogni contenuto che pubblicavo poteva essere letto da chiunque mi trovasse, ora ho messo tutto condiviso solo con amici. Non avendo nome e cognome non m’importava chi vedesse, non ho niente da tenere nascosto. Però no, amici, familiari e gente curiosa che mi conosce proprio no, non voglio si facciano i fatti miei. Sul blog, come Vi ho già raccontato, sono sincera e vera: non mi interessa fare numeri, non ho nulla da dimostrare, voglio solo raccontarmi in tutta semplicità per condividere le mie esperienze con Voi. Non ho piacere che le mie cognate leggano delle mie emozioni che provo il primo giorno di asilo di mio figlio, non voglio che gente impicciona legga di come passo le giornate, di quel che faccio coi miei figli, di che cosa provo dentro di me. Sono spesso una persona chiusa, all’apparenza posso sembrare snob, in realtà sono timida e secondariamente sono diventata selettiva: regalo il cuore a chi per me è una bella persona, a chi mi dice qualcosa ad una prima impressione, vivo molto di sensazioni, e non sbaglio quasi mai.

Le sensazioni: che bello essere presi da queste, condotti chissà dove; farsi trasportare fino a stare male, ma gioire di questo, perché è un po’ il sale della vita. In quest’ultimo periodo sono stata letteralmente travolta, avevo l’impressione di essere stata messa sotto da un treno lanciato a velocità folle, ma non m’importava, la gioia che provavo è indescrivibile. Un misto di emozioni mi prendeva allo stomaco, e dentro fino all’anima, mi vedevo come una preda nelle fauci di un coccodrillo, sballottata qua e là mentre pezzi di carne iniziano a lacerarsi. Ma il dolore non lo avvertivo, ero piena di un’ideale morfina, sembravo come sotto anestesia: sentivo, ma non percepivo il dolore. Rimaneva solo il bello, il dolce, la parte emozionante. Per circa una settimana ho mangiato pochissimo, avevo una sorta di repulsione verso qualsiasi cibo cercavo di portare alla bocca: era un gesto involontario, ho mangiato quel poco che riuscivo, sforzandomi. Ho perso alcuni kili, che già ne ho pochi di mio, e alla fine sono stata male. Male di bene, mi verrebbe da dire. Però quel lunedì mattina volevo andare al pronto soccorso, mi sentivo mancare, ero talmente debole che non sono riuscita ad alzarmi dal letto per metà giornata. Passato il brutto momento, dopo aver ricevuto una consulenza da chi mi ha vista davvero male, dopo aver fatto chiarezza, dopo essermi presa integratori e simili, ho trovato il mio equilibrio. Per fortuna ora sono tornata in splendida forma!

Ho avuto anche alcune preoccupazioni, i miei soliti problemi grassi, perché come avevo raccontato Principe se n’è andato verso la sua vita, frequentando l’asilo. La mia Principessa d’oro è stata catapultata in un mondo a lei completamente sconosciuto, nuovi volti e nuove regole, nuovi orari. Ha iniziato la scuola primaria, che mi ostino a chiamare “le elementari”, e all’inizio credo per lei sia stata davvero dura. Io, di riflesso, ho vissuto le sue piccole preoccupazioni, ingigantendole, e anche questo mi aveva creato parte dei problemi di cui sopra. Sono stata una sciocca, una mamma troppo apprensiva, che ha creduto che sua figlia non ce la facesse. Brutto da dire così, ma lei è fondamentalmente una persona delicata, la conosco e sono certa che ha passato momenti di sconforto nei primi giorni; le insegnanti me ne hanno dato conferma. Poi ho capito, mi sono tranquillizzata, tutti ci siamo passati e lei sa essere anche forte, e ora dopo tre settimane va decisamente meglio.

Ho scoperto, in questa nuova scuola, un lato bellissimo dell’insegnare. Esco da un’esperienza di asilo per me traumatica e deleteria, dove secondo la mia opinione Principessa è stata rovinata, con due maestre che, detto terra terra, non avevano voglia di fare molto di più del minimo indispensabile, una in particolare sembrava essere lì solo per avere uno stipendio alla fine del mese. Sono fermamente convinta che, chi lavora a contatto coi bambini, deve essere spinto da forte motivazione e passione per quel lavoro, deve amare i bambini, deve metterci l’anima in quel che fa. L’operaio in fabbrica, se monta dei pezzi mentre è di malumore o svogliato, in linea di massima non inciderà sulla vita di nessuno. L’insegnate che è di malumore, svogliata, che non è in grado di appassionare i suoi piccoli sta, oltre che sprecando il suo tempo, creando un danno ai bimbi: facendo poco, facendolo male, lasciando i bambini senza regole. Un disastro, insomma.

Alla scuola è cambiato tutto. Già dai primi giorni ho notato una particolare attenzione delle maestre verso la mia cucciola, che aveva mostrato qualche segno di disorientamento e espresso la mancanza della mamma. L’hanno sempre consolata, me lo hanno riferito aggiungendo “guardi che è normale!” oppure “è passata subito” o ancora “non si preoccupi”. Questo dirmi di non preoccuparmi, detto sinceramente e col cuore, mi ha fatta stare davvero tranquilla. Ogni mattina, quando la accompagno, non vuole entrare da sola. Senza che io abbia mai detto o chiesto nulla, appena arriviamo sulla porta e qualcuna delle sue insegnanti o i collaboratori scolastici ci vedono, mi prendono Principessa per mano e la portano dentro l’istituto, mentre tutti aspettano di salire. Questo semplice gesto mi ha toccato profondamente, mi ha fatto capire che esistono ancora persone che fanno il loro lavoro con passione, che sono persone attente, nonostante tutto quello che hanno da fare, nonostante non ci sia solo mia figlia. Oltre al livello didattico, si parla di livello umano, ultimamente spesso lasciato da parte da certi professionisti, quando ci troviamo davanti persone fredde e insensibili. Dopo tre settimane di tante piccole azioni, ho deciso di scrivere una lettera a queste persone. Ci pensavo già da qualche giorno, a dire il vero, poi non volevo sembrare la mamma che appena arrivata già si fa riconoscere, non volevo passare per quella che cerca di ingraziarsi gli insegnanti per far dare bei voti alla figlia o assicurarle trattamenti di favore.

Infine ci ho pensato bene e ho deciso: sì, meritano una lettera di apprezzamento e riconoscimento per quello che fanno, e che magari non sarebbero tenuti a fare. Complice il fatto che non avevo il pc, ho scelto di scrivere a mano, anche perché una lettera stampata dal computer sembra troppo impersonale, fredda. Ho scritto sull’onda delle emozioni, anche un po’ preoccupata di fare errori ortografici – sai che figure, con le insegnanti – ma sono stata sincera e diretta, dicendo loro cosa pensavo di quel che fanno e mi hanno espresso, ho raccontato le mie sensazioni ed emozioni. Ho dato la lettera a mia figlia e mi sono assicurata che la desse all’insegnante una volta in classe. Mi ritorna al pomeriggio con un biglietto, che sinceramente non mi aspettavo, dove le maestre mi ringraziano per le parole, mettendomi questa bellissima citazione “insegnare è toccare una vita per sempre”.

Di preciso non so perché ho scritto quella lettera, ma nella vita ci sono delle occasioni in cui sento tantissimo di dover fare una cosa, scrivere a una persona o dire quel che provo. Ci penso continuamente, mi prendono forti sensazioni e, finché non faccio quello che ho in mente, rimango inquieta. Lo stesso pomeriggio ho accompagnato Principessa a un corso, e vedo una delle sue insegnanti. Non ci penso alla lettera, ci salutiamo da lontano e vado avanti a pensare ai fatti miei. Ad un certo punto, mentre esce, mi si avvicina e mi dice <<Grazie per la lettera, mi sono commossa davvero…>> Io ero un po’ in imbarazzo, a dire il vero lo ero molto, e farfuglio qualcosa quando lei riprende <<sa, quando qualcuno apprezza quello che facciamo, anche dal punto di vista umano… – e si mette una mano sul cuore – a noi fa tanto piacere. Grazie, grazie mille.>> Io ho replicato qualcosa, che non ricordo, perché lei è andata subito fuori. Insomma, riesco ad esprimermi meglio quando scrivo, che a parole. Mi ha resa molto felice sapere che le mie parole, sincere e di cuore, siano state ben apprezzate. Quello che volevo dirVi con questa ultima parte è: se volete dire qualcosa a qualcuno, diteglielo! Se volete far sapere a qualcuno che ci tenete o gli volete bene, fatelo! Non aspettate, prendete le care e vecchie carta e penna e scrivete, scrivete col cuore, facendoVi trasportare dalle emozioni. È sempre la cosa giusta.

 

A presto, Francesca.

Samantha Cristoforetti Aspetta Un Figlio

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Il sorriso di AstroSam – Foto Ansa

La notizia della dolce attesa di Samantha Cristoforetti è rimbalzata sulle testate nella giornata di ieri, ma io lo sapevo già da qualche giorno, quando mi ha telefonato per dirmelo non ci credevo. 

Magari!

Quanto mi piacerebbe averla come amica, quella grande donna, che ha fatto del suo sogno una tangibile realtà. Da piccolina voleva fare l’astronauta, tac, fatto. Vorrebbe andare sulla Luna, spero tanto ci riesca. 

Si è presentata al Forum Ambrosetti di Cernobbio con un accenno di pancia e una lunga sciarpa per cercare di nascondere la dolce rotondità, ma in un’intervista a Chi, ha dichiarato di aspettare un figlio.

Sapere che anche lei, grande donna che è stata duecento giorni nello spazio, sta vivendo un’esperienza come quella che ho potuto vivere io due volte mi fa sentire più vicina a lei, mi manca andare nello spazio e poi è fatta, sarò come lei. Sì certo, come no. Avevo parlato di lei in un post che mi è sempre stato particolarmente a cuore, dove raccontavo i momenti precedenti la sua missione nello spazio.

Sono sempre stata molto affezionata alla sua persona, ritengo che sia una donna di grande cervello, e questo mi affascina moltissimo; la trovo carina e graziosa anche se porta un taglio di capelli corto; nonostante faccia un lavoro che sembra per lo più maschile, riesce a cucirselo addosso che sembra nata per fare quello. Ha tante competenze, conosce moltissimo e quando spiega o racconta diventa un piacere ascoltarla, perché ti appassiona. Mi piacerebbe avere anche solo un quarto delle sue skills, che la rendono capace di farti sembrare facile anche il concetto più difficile. Ho sempre adorato il suo sorriso, precisamente non so perché ma quando la guardavo sorridere prima della partenza che l’ha portata nello spazio e anche dopo, mi rasserenava, dava felicità anche solo guardandola.

Ieri Amoremio mi ha portato uno speciale di un quotidiano con alcune pagine di un’intervista fatta ad AstroSam, dove un giornalista l’ha intervistata vis-à-vis. <<Lo conosci?>> ho chiesto, e lui dopo aver letto il nome mi ha risposto che conosce sì il giornalista, e gli ha subito telefonato per chiedergli qualche dettaglio sul come sia riuscito ad intervistarla. Io, contentissima, perché conosco una persona che conosce una persona che ha incontrato Samantha, mi sento più vicina a lei. Da qui a girare insieme con i figli, il passo è breve.

Ovviamente scherzo di nuovo. E torno a ripetere: magari, potessi fare la sua conoscenza. Ora come ora la metto tra le prime persone famose che vorrei conoscere. Non sono molte, e la maggior parte sono sportivi o gente ormai deceduta.

Quando anche lei, mi auguro il più tardi possibile, passerà a miglior vita verrà ricordata sui libri della storia. Prima donna italiana nello spazio, record europeo di permanenza consecutiva nello spazio, e poi scusate eppure mi preme sempre quel dato, quando ai test fu selezionata fra più di ottomilacinquecento persone, e ancora una lunga lista. Qui da noi invece, ai Festival, c’è ancora gente che probabilmente ha più scarpe che cervello, ragazzette che nonostante siano belle, riescono a far parlare di sé solo per cose più in basso del cervello. Ecco, non vorrei mai fare un paragone, mi sembra un insulto nei confronti della mia stimatissima Samantha, però è giusto farlo così, per farsi un’idea. Lei verrà ricordata per le sue imprese spaziali, una certa Giulia Nonloso verrà ricordata per la xxx praticamente esposta, addirittura senza essere rasata con cura. A parte la volgarità dell’abito, anche lo schifo dei dettagli. Ho detto tutto.

Sono felice per Samantha perché, anche se in queste ore si parla solo di ciò che contiene il suo grembo, si è presa quello che voleva dalla vita. Non si è fermata davanti a niente e nessuno, immagino abbia avuto le sue difficoltà, ma insomma, avrà tirato fuori le unghie e lottato per i suoi sogni affinché si realizzassero. Noi viviamo in Italia, lei cambia posti durante l’anno in base a quel che deve fare, per fortuna. Se dovesse rimanere sempre in Italia, dove lo stereotipo della mammina dolce e premurosa a casa a fare la calzetta è così ben presente – tanto da far indire una campagna orrenda e opinabile al ministro Lorenzin, che sembrava voler rimettere la donna a casa e l’uomo al lavoro – ecco, se dovesse restare magari succederebbe questo: sei in gravidanza per cui già ti guardano come un’appestata, sicuramente non potrai fare quello che facevi prima quindi ti toglieranno mansioni, figuriamoci dopo il parto, quando avrai diritto a del tempo da passare con tuo figlio, quel periodo unico che non tornerà mai più nella vita, uff c’è la maternità, poi il figlio cresce e la mamma rientra al lavoro, ma poi si ammala, gli viene la febbre di notte, deve accudirlo, insomma ridatemi un astronauta uomo ché tanto è risaputo che ai figli ci badano le mamme. Questo un po’ quel che succede se lavori in un’azienda in Italia. Per fortuna questo, a Samantha, non succederà. Credo inoltre che, se qualora volesse ritirarsi dalla sua carriera per fare la mamma, sarebbe solo ed unicamente una sua scelta, spinta da volontà propria, e non perché ha firmato una lettera in bianco o perché subisce mobbing da parte del capo. In qualità di persona che la conosce per due persone interposte, mi sento di dire che avrà grandi gioie dalla maternità ma continuerà ad inseguire i suoi sogni.

“Ehi Sam, quando hai bisogno di qualche consiglio per l’argomento mamma-bambini, chiedi pure. Ricordati di mettere il like alla mia pagina Facebook e seguire il mio blog.” 

Magari!

“Dimenticavo… Tanti auguri Samantha. Sarai una Mamma Spaziale.”

A presto, Francesca

Il Tuo Primo Giorno

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Buongiorno e buon lunedì.

È settembre, per moltissimi è un nuovo inizio, è come se iniziasse un nuovo anno, quello scolastico. Oggi è lunedì, già di per sé non mi entusiasma questa giornata. A renderla ancora più triste e difficile è l’inizio della scuola dell’infanzia per Principe. Il mio piccolino di casa, lui che quando era nella mia pancia mi aveva già fatto preoccupare da morire; lui che a un mese e mezzo, quando era ancora inerme e non sorrideva nemmeno, è entrato in sala operatoria per due ore e mezzo, in anestesia totale; lui che il mese successivo è andato di nuovo in quelle sale, per una cosa minore ma sempre con un po’ di anestesia. Lui, che combina un sacco di pasticci, fa disastri che sua sorella mai si era nemmeno immaginata, ma che si fa perdonare tutto con quel sorriso. Lui, il mio piccolino coccolone, che di notte mi fa prendere tanti infarti quando non lo vedo respirare, e invece sta solo respirando talmente piano che sembra sia morto.

L’ultimo colpo ieri notte, quando l’ho visto nel letto sdraiato lungo e tirato e ho pensato “ecco, è proprio stecchito” mi avvicino con la luce del cellulare e niente, il suo petto non si muove su e giù. Panico, aiuto, lo tocco smuovendolo. Non succede niente. Lo tocco più forte, gli do quasi uno scossone, tira un sospiro e cambia posizione. “Ma porca l’oca, allora dillo che non sei morto!” Che spavento. Dopo tutto questo, sono tornata a letto e non sono più riuscita a dormire, un po’ per la paura presa e un po’ perché pensavo che a distanza di un giorno e mezzo il mio cucciolo avrebbe iniziato la sua carriera scolastica.

Ci ho pensato molto, in questi giorni, alle motivazioni che mi tenevano in ansia per il suo inizio, senza trovare risposte sensate. Ho creduto che fosse perché lui mi faceva compagnia quando portavo Principessa all’asilo, mi teneva su di morale nelle giornate no, lui è un bimbo spassoso. Successivamente ho vagliato l’ipotesi dell’esperienza negativa che ha fatto la sorella all’asilo, me l’hanno praticante rovinata, era così educata e carina, è uscita maleducata come non so cosa. Ma non è nemmeno quello, anche perché fortunatamente lui frequenterà un altro istituto.

Pensa che ti ripensa, sono arrivata alla conclusione che non voglio che vada all’asilo perché, come dicevo, è l’inizio della carriera scolastica. Questo vuol dire che in men che non si dica me lo ritroverò a 6 anni che starà per andare alle scuole. Ecco, ho paura che cresca troppo in fretta, anche se già mi sfugge di mano.

Quando Principessa iniziò l’asilo, quattro anni fa, avevo lui di pochi mesi, mi distraeva e l’assenza della sorella grande mi permetteva di dargli qualche attenzione in più, senza farla ingelosire. Poi nel pomeriggio abbandonavo lui – che tanto era piccino e dove lo mettevi, stava – e passavo più tempo con lei, così erano tutti felici. Però ora lei è già qui, grande e a volte sfacciata, dolce e fragile, allo stesso tempo cattivella e forte. Ma cresciuta, davvero tanto.


Giorno uno, ore 08:30 si esce di casa. Lui è tutto contento, io mi rivelo una bravissima attrice, sono contentissima che stia andando al suo primo giorno di asilo, in realtà vorrei solo prenderlo e scappare lontanissimo. Quando arriviamo gli faccio le foto di rito, col grembiulino davanti all’armadietto, lo accompagno nella sua classe e mi fermo un pochino con lui. Con noi c’è anche Principessa, che inizierà la scuola lunedì, quindi lascio un momento entrambi nella classe con una maestra e l’altra mi spiega dove vanno messi zainetto e set. Ritorno verso la classe, mi accompagnano fuori una Principessa in lacrime che mi dice <<mamma, ti volevo abbracciare>> no scusate, mi piange il figlio sbagliato: porto all’asilo lui, e piange lei, c’è qualcosa che non va. Rassicurata lei che non vado da nessuna parte e non l’abbandono lì, rientro nella classe di Principe, dove già da prima stava piangendo a decibel elevati un bimbo, che tra l’altro è il nostro vicino di casa che abbiamo frequentato alcune volte. Allora, la mamma che è in me mi fa prendere la decisione di consolarlo, povero mi faceva tanta pena anche perché due maestre per ventidue bambini non potevano di certo seguire ogni singolo bambino. Mi avvicino a lui e coi lacrimoni mi chiede <<la mia mammaaaa>>, così gli spiego che è andata via ma poi dopo il pranzo sarebbe tornata a prenderlo, che avrebbe potuto giocare con tutti i bei giochi dell’asilo, stare con Principe e divertirsi insieme. E niente, dopo qualche abbraccio, carezze sulla schiena, qualche battuta che non l’hanno fatto ridere ma calmare, ecco dopo questo si è finalmente messo a giocare. Io mi sono sentita un’educatrice spaziale, roba  da darmi un posto fisso già dal giorno stesso.

Dopo qualche minuto che il bimbo piangente aveva smesso, ho deciso di salutare il mio di bambino, di nascosto, per evitare che l’altro ricominciasse a piangere magari vedendomi uscire. Niente, io gli ho detto <<ciao amore, io vado, ci vediamo dopo, ok?>> lui mi ha risposto <<ciao>>. E l’ho lasciato lì. La mia sensazione una volta uscita dalla porta è stata quella di sentirmi mancare un pezzo di cuore, un pezzo di me. Sono tanto legata ai miei figli, anche se ogni tanto dico loro che li abbandonerei o li affiderei a una mamma nuova, ma la realtà è che senza di loro mi sento vacillare. Per fortuna avevo la mia spalla, Principessa, che mi ha distratta. Loro non lo sanno, ma i miei figli fanno sempre molto per me, che sono un po’ asociale ma odio stare da sola, che quando ho loro intorno mi mettono il buonumore.

Alle 12:45 dovrò andarlo a prendere, ora mi continuo a chiedere cosa starà facendo, se starà bene, se si divertirà, se quando dovrà pranzare si sentirà a suo agio in mezzo a tantissimi altri bambini, a tante facce sconosciute.
Mi domando se sentirà la mia mancanza, se ad un certo punto della giornata penserà che l’ho abbandonato, se avrà paura che non tornerò più a prenderlo oppure avrà la consapevolezza di sapere che è in un luogo atto a farlo crescere, pieno di suoi simili, e che lo farà diventare grande nel migliore dei modi, e che a fine giornata la mamma tornerà sempre a prenderlo.

Buon inizio, cucciolino.

 

A presto, Francesca.

Quando Nella Notte Ti Sveglia Un Tonfo

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La notte, si sa, è fatta per dormire; soprattutto per noi mamme di bimbi ancora piccoli, che magari assistiamo ancora ai risvegli notturni dei nostri cuccioli e invece sogniamo ad occhi aperti di fare lunghi sogni, ad occhi chiusi. La notte, tra le altre cose, amplifica le sensazioni, sia quelle belle ma soprattutto quelle spiacevoli. Mi è capitato di passare nottate quasi in bianco pensando a quel problema piuttosto che ad un altro, ma mica problemi seri, cose del tipo “non mi va che Principessa all’asilo non faccia niente, vorrei fare qualcosa per cambiare la situazione” ad altre come “dovrò cambiare casa, come farò a lasciare quella vecchia”. Quelli che io chiamo problemi grassi, obesi direi, e che dopo avermi tenuta sveglia a rimuginare le notti, mi davano tregua verso le 5:00 del mattino, o giù di lì, e dormivo. Al risveglio ripensavo a tutto quanto, un bel sorriso, una scrollata di spalle e via, era tutto passato.

Sempre nella notte noi mamme mettiamo in funzione una capacità che credo sia ancestrale: appena uno dei nostri figli, dall’altra stanza, fa un respiro più profondo, oppure inizia a dire <<mam…>> siamo già sveglie. So che succede a molte: un colpo di tosse in più, un leggero pianto, due parole e noi siamo già con l’occhio spalancato e l’orecchio teso. “Cavolo, stavo dormendo profondamente, come ho fatto a sentire?” mi domando spesso, misteri dell’essere mamma. Ci sono però anche i brutti risvegli, quelli improvvisi, alle 03:24 di notte, quando mentre sei sicura che stavi dormendo senti frusciare le coperte, un tonfo e un pianto. Ovviamente la mamma, anche se ha 12 figli, sa chi sta piangendo e indicativamente conosce già la dinamica dei fatti. Se poi, come succede a me, avete imparato ad usare il pianto come scala del dolore, allora saprete se non è grave oppure se c’è da correre.

Già da neonati, infatti, si possono distinguere vari tipi di pianto: fame, stanchezza, disagio – ad esempio posizione scomoda o pannolino eccessivamente bagnato – e ancora pianto da dolore. Quest’ultimo, il pianto da dolore, lo uso attualmente come metro di giudizio per capire se i miei polli stiano facendo finta oppure si siano fatti male sul serio, e quanto male. Funziona con entrambi, il pianto leggero e lagnoso è quello del capriccio, poi c’è quello del male ma irrilevante, e dopo alcuni decibel arriva quello del male serio, dove lì mi preoccupo.

Tornando alle 03:24, di questa notte, grazie ai miei super poteri di mamma, sono stata svegliata di soprassalto, sentendo cadere Principe dal letto. È una sensazione pazzesca quando ci ripenso, come cavolo ho fatto a sentirlo mentre cadeva, se dormivo? Se qualcuno ha una spiegazione, me lo faccia sapere. Ma torniamo a noi, torniamo al mio spavento per il tonfo nel cuore della notte, quindi accendo l’abat-jour e mi tiro su seduta, chiamando con una mano Amoremio, che dorme vicino a me ma è il più vicino alla porta, che quindi potrebbe alzarsi di corsa e scattare a salvare il nostro figlioletto. Niente, non pervenuto, se non respirasse penserei che sia morto. Cribbio, come fai a non sentirlo? Come fai a non sentire che ti chiamo dicendo il suo nome, ripetendo è caduto, mentre assemblo i neuroni per alzarmi e andare a vedere cosa è successo – fase che dura circa tre secondi! – lui niente, dorme. Lasciando perdere lui, vado dall’altro lui, senza correre perché non piange da dolore forte. Lo trovo verso la parte finale del suo letto, ai piedi, giù per terra che piange ma si sta rialzando. Aah, la resilienza dei bambini, che bella! Stavi dormendo beato, sei caduto, ti sarai fatto un pochino male sicuramente, ti sarai spaventato molto, eppure ti rialzi da solo, per me è incredibile. Si tocca la bocca, siccome nella stanza c’è solo la luce fioca della lampadina a led lo porto nel bagno adiacente, con la luce leggera. Mi abbasso per guardarlo bene mentre gli tengo la manina, piagnucola ma niente di grave, nessun danno. Si è solo spaventato, e ci credo. Allora lo prendo sulla mia gamba un momento e lo stringo a me, giusto qualche secondo, e tutto passa. Gli dico se vuole andare a bere, mi risponde che no, non vuole, si dirige verso il suo letto e ci risale. Ecco, io qui mi sarei aspettata un <<voglio venire nel tuo letto>> frase gettonata nelle notti durante le quali si risveglia, apparentemente senza motivo, e decide che deve stare con noi a continuare il sonno. Mi ha spiazzata, si è rimesso con la sua testolina sul suo piccolo cuscino, col suo pupazzo nella mano, e ha chiuso gli occhietti. L’ho coccolato un momento quando, girandosi, mi ha sussurrato che aveva sete. “Però deciditi”, penso io mentre vado a prendere il suo bicchiere. Dopo aver bevuto mi guarda e sentenzia, con tono stanco e tenero <<sono proprio caduto…>>, io lo rassicuro dicendo che sono cose che succedono, così si rimette giù.

Rimango lì accanto a fargli le carezze sulla schiena, dopo essermi sentita chiedere se volevo sdraiarmi nel letto vicino a lui. Ho declinato l’offerta e mi sono accucciata vicino a lui, mentre trovava il sonno, e lo guardavo. Pensavo al fatto che ormai sta crescendo tanto anche lui, che è bellissimo, che tutti i bimbi che dormono sono qualcosa di meraviglioso, pensavo al fatto che lunedì inizierà l’asilo e sì, forse sono pronta, ma non ne sono sicura. Pensavo ancora a quanto un bimbo così piccolo possa trovare la forza di rialzarsi da solo dopo una caduta, magari ce l’avessimo noi adulti una forza così: certo, le nostre cadute – non in senso letterale – magari saranno più dolorose, ma quasi sempre per natura cerchiamo qualcuno o qualcosa a cui aggrapparci per alzarci. Loro no, cadono e si rialzano, si rimettono a dormire dopo un semplice abbraccio di rassicurazione.

Svelato il motivo per il quale non ho dormito, fino alle 05:30. Se volete sapere come è andata stamattina con la sveglia delle 07:30, controllate il mio profilo Facebook.

 

A presto, Francesca.

Quando Settembre È Il Nuovo Gennaio

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Buongiorno e buon inizio di Settembre. Questo mese per moltissimi è come l’inizio di un nuovo anno, si rientra dalle ferie e ricomincia tutto il trantran quotidiano, come lavoro e scuola dei figli. Fino all’anno scorso per me non valeva questo, ma Settembre era un mese come un altro. Quest’anno invece, complice il doppio inizio dei miei figli ad asilo e scuola, e la conseguenza che sarò da sola a casa, mi porta in quel giro di persone che considerano Settembre il nuovo Gennaio. 

Proprio per abituarmi a questi nuovi orari, sto iniziando in questa settimana ad alzarmi presto, considerato che per due mesi ci siamo alzati alle 10, pranzavamo alle 14, cenavano alle 20:30, orari per noi assurdi e lontani dalle routine invernali. Se mi seguite su Facebook, avrete sicuramente notato che i primi tre giorni non hanno avuto molto successo, sveglia puntata fissa alle 07:30 e risultati opinabili. Oggi invece, complici il primo settembre e una notte di sonno abbastanza sereno, sono riuscita ad alzarmi alle 08:05, yeah!

Francesca e...

Ecco i miei quattro tentativi di alzarmi ad un’ora decente. Andato a buon fine 1 su 4.

Tra tutto questo sballo di orari come mamma ho anche fatto un’azione positiva: ho comprato molta frutta e verdura, proponendola ai miei figli, cosa che purtroppo di solito non faccio così spesso. Al mattino, quando siamo sempre di corsa, una brioches e qualche biscotto e via, ora invece c’era il tempo di mangiare con calma la frutta, prepararla e servirla ai miei due lumachini, che fanno i pasti lentissimi. A dimostrazione di ciò, stamane apro la dispensa al reparto dolci e faccio una scoperta: mi sono scadute le Camille. Sì, stavo andando proprio bene sul fronte colazione alternativa. 

Dal punto della frutta e verdura volevo aprire una breve parentesi: ma anche i Vostri figli sembrano bipolari? Al negozio, a giugno, mi hanno fatto comprare l’uva bianca, mai mangiata in vita loro. Va bene prendiamola. Consumata con entusiasmo e ricomprata alcune volte. Poco tempo fa torno a casa dalla spesa con dei grappoli, la propongo a colazione, nessuno la mangia. No ma, dico, siete impazziti? L’avete chiesta voi, vi piace, la mangiate come non ci fosse un domani, e ora nessuno se la fila. 

<<…Eh ma mamma, ha i semini>> mi risponde Principessa. <<Ah già, perché tutte le altre comprate allo stesso negozio fatte nello stesso modo, i semi non li avevano?>>

Niente, bipolarismo puro, anche perché succede con miriadi di altri cibi, proposti e poi richiesti a lungo, quando d’improvviso sembra il cibo peggiore mai consumato.

Vi auguro uno splendido Settembre, ora vado a fare il mio Workout quotidiano.

A presto, Francesca.