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Come lasciare andare i figli, Consegnare i figli al mondo, Emozioni, Figli adolescenti, La vita è ciclica, Mestiere del genitore, Pensieri, Rapporto genitori/figli, Ricordi, Vita da Genitori
Succede così, nella vita ciclica, che si nasca e si resti figli per diversi anni. Una media di venti o trent’anni, tutti noi la passiamo come prole. Per le mamme, specialmente quelle italiane, noi non saremo mai coperti abbastanza, non andremo mai troppo piano in auto. Per i nostri genitori saremo sempre i loro bambini, da aiutare anche quando le loro forze inizieranno a venir meno. Ad un certo punto succede qualcosa, ti innamori, capisci che è arrivato il momento: decidi di avere un figlio. Ci sono anche coppie che non scelgono, vengono raggiunti ugualmente da questo dono, ma per tutti sta accadendo qualcosa di sconvolgente.
Quando sei figlio, è tutto più facile. Solitamente ci sono almeno due persone che pensano a te in tutto e per tutto, ti porgono gli strumenti per affrontare la vita e nel frattempo ti offrono una spalla su cui piangere. Anche un bastone su cui sorreggerti, se è il caso. Non sei solo, sei il centro del mondo per i tuoi genitori, la loro ragione di vita. Poi, come dicevo, accade qualcosa nella tua vita che la cambierà per sempre, definitivamente: da figlio diventi, anche, genitore. Così ecco che, quando tuo figlio ha già una decade, ti è passata davanti la tua infanzia. Le parole che i tuoi ti dicevano, sono le stesse che hai detto al tuo discendente; quelle frasi che ti parevano incomprensibili, ora acquistano un senso.
Quanti genitori dicono: “se non lo provi, non puoi capirlo”? Oppure: “quando proverai anche tu, mi dirai”.
E non è andata proprio, esattamente, in questo modo? Coraggio, siate sinceri. A me è successo, mi rivedo nei comportamenti dei miei genitori, stando stavolta dall’altra parte. È come una ruota che gira e, in fondo, se guardiamo bene, questa è semplicemente la vita. Un ciclo che, come ci insegnarono a scuola, si compone in quattro fasi: l’essere vivente nasce, cresce, si riproduce, muore. In queste fasi si svolge il gioco, prima sei spettatore, quando cresci diventi attore e fare questa parte non è affatto facile. Diventare mamma, o papà, è tutto fuorché una passeggiata, ti viene consegnato tra le mani un miracolo della natura e tu devi essere capace di proteggerlo, farlo sbocciare nel miglior modo possibile. Tu devi aiutarlo, ma anche insegnargli a fare da solo. Tu devi assisterlo, curarlo, coccolarlo ma… Quando sarà pronto per spiegare le ali, tu DOVRAI essere capace di sciogliere quel filo invisibile che vi lega e permettergli di volare quanto più in alto gli sarà possibile. Dovrai esserci quando, malauguratamente, dovesse cadere; perché una mano in più per rialzarsi non ha mai creato grosse ferite, nemmeno ai più orgogliosi.
Essere genitore vuol dire rivivere la tua infanzia, ma al contrario. Ora sei tu che ti preoccupi se tuo figlio ha la febbre, sei tu che ti arrabbi se non ti risponde subito alle telefonate quando sai che ha sempre il telefonino in mano; ora sei tu che stai sveglio nella notte, ad aspettare il suo rientro. Tu immagini scenari apocalittici, lui si sta divertendo con gli amici e tornerà a casa sorridente, felice per la serata trascorsa, senza lontanamente immaginare il supplizio da te passato. O almeno, fin quando non diventerà lui stesso genitore, allora sì che potrà capire.
Nella mia adolescenza ho fatto spesso preoccupare i miei genitori, eppure per me era una noia mortale sentire il loro continuo ripetermi “torna presto”, “vai adagio”, “stai attenta”. Mi sentivo in gabbia, pareva che non fossi capace di badare a me stessa, avevo 16-18 anni e mi sentivo di poter spaccare il mondo. Non capivo veramente cosa cavolo facesse mia madre, sveglia fino al mio ritorno, alle 3 di notte. Perché accidenti mi telefonasse dicendomi di tornare a casa, mentre ancora 17enne ero a divertirmi a casa di amici.
Anni dopo sono diventata mamma e, di colpo, ho capito. Ho capito tutto quanto. Non sento l’esigenza di chiedere scusa per i pensieri che ho dato loro, perché immagino sia naturale preoccuparsi visceralmente per i propri figli, alcune volte anche senza motivo. Come contrappasso, tra alcuni anni proverò le stesse sensazioni, le stesse paure e dirò gli stessi “torna presto”, “vai adagio” e “stai attenta” che per anni mi hanno fatto sbuffare.
Certo è che ho capito due cose: la prima è che, veramente, se non lo provi non puoi capirlo; la seconda è che bisogna avere le spalle grosse e fare un grande sforzo, per tagliare quel filo e consegnare i propri figli al mondo.
Francesca